Set 26

Consorzio Uno Oristano: la quindicesima missione tunisino-italiana di Neapolis in Tunisia.

Una équipe mista tunisino-italiana, da oltre un decennio, lavora sulla costa meridionale del capo Bon, in Tunisia, nel sito Archeologico di Neapolis, nel territorio di Nabeul.

Lo fa mediante un accordo internazionale tra l’Institut National du Patrimoine de Tunisie (con la direzione del prof. Mounir Fantar) e l’Università degli Studi di Sassari (condirettori i professori Pier Giorgio Spanu e Raimondo Zucca). Per la parte italiana hanno lavorato decine di archeologhe e archeologi sardi e di tutte le regioni italiane (ma anche spagnoli, greci e un’iraniana), coordinate dalle archeologhe Luciana Tocco e Adriana Scarpa del Consorzio Uno, che gestisce i corsi Universitari di Oristano e finanzia le imprese archeologiche della Scuola, insieme al Ministero degli Affari Esteri. Per la parte tunisina diretta da Mounir Fantar hanno partecipato giovani archeologhe tunisine ed algerine, in uno spirito di collaborazione tra gli archeologi delle due sponde del mediterraneo, nella Maison de Fouille di Neapolis, ombreggiata da gigantesche tamerici, abitate dalle numerose iguane autoctone del Capo Bon.
Nel mese di settembre la Missione ha voluto indagare il viridarium (ossia il giardino centrale, fiancheggiato da un peristilio (un porticato scandito da colonne e aperto sul giardino) della “Nymfarum Domus” (il nome di una lussuosa domus (abitazione signorile) del 400 d. C. circa, indicato in una iscrizione a mosaico di una fontana del viridarium), al centro della città di Neapolis.

La città è pluristratificata nel sito detto Nebil kadim (la Neapolis antica): le più antiche testimonianze sono dell’VIII secolo a. C. ed appartengono ai Libii, ai fenici e ai cartaginesi, nel V secolo, secondo la testimonianza di Tucidide, Neapolis era un emporion (luogo di mercato) punico. Verso il 45 a. C. Giulio Cesare vi costituì una Colonia Iulia Neapolis, con una urbanistica scandita dagli assi stradali regolari in senso N/S (cardines) e E/O (decumani).
La città si estendeva per circa 60 ettari, di cui 20 sommersi dal mare in seguito probabilmente ad un sisma del IV secolo d. C., forse del 365 d.C., che seminò distruzioni a partire da Creta verso l’Egitto, la Cirenaica, la Tripolitania e la Tunisia.

L’obiettivo dello scavo è stato duplice: quello dell’Archeologia dei giardini e l’altro dell’indagine stratigrafica da condurre sino al suolo vergine, per riconoscere la successione strsatrigrafica della città di Neapolis.

L’archeologia dei giardini è quella branca dell’archeologia che utilizzando una serie di fonti iconografiche, epigrafiche, letterarie, ma soprattutto paleobotaniche ricostruisce filologicamente il paesaggio, i colori e i profumi dei giardini del passato.
Nei viridaria (giardini) delle domus delle provinciae africane questo della XV missione archeologica tunisino-italiana è il primo caso di applicazione dei metodi dell’archeologia dei giardini in terra d’Africa.

I casi più noti di questa ricerca sono quelli delle città vesuviane, Pompeii ed Oplontis, ma sono note varie applicazioni in ambito di Roma e di varie città della penisola italiana. Un quadro efficace delle nostre conoscenze sui giardini romani è presente nei libri di Pierre Grimal, I giardini di Roma antica e nelle quattordici conversazioni a Milano sulla percezione della naturanel mondo antico, Università degli studi di Milano “La Statale”, mito e natura della Grecia a Pompei, il fuori mostra,a cura di Gemma Sena Chiesa e Federica Giacobello.

Con l’ausilio della collega dell’Università di Sassari, prof. Alessandra Deiana, docente di Archeobotanica, si è proceduto, in sezione di due strati (unità stratigrafiche) riferibili rispettivamente al 400 d. C. ed al pieno III secolo d. C., a prelevare, con provette sterili, tre campioni di sedimento, che saranno immediatamente avviati a un laboratorio universitario, per l’individuazione delle specie botaniche attraverso l’individuazione dei pollini presenti e di altri elementi archeobotanici (semi, reperti carpomorfi (frutti) etc.).

Poiché lo scavo non è fine a sé stesso ma ha una sua componente pubblica, la Missione si è impegnata, sulla base dei dati statistici sui pollini del viridarium della Nymfarum Domus, a procedere all’impianto di un giardino quale doveva apparire nelle fasi di vita della Nymfarum domus, sicché il turismo culturale del parco archeologico di Neapolis potrà contare su un giardino dai dolci profumi, così come sedici secoli addietro. E questo giardino della “Abitazione delle Ninfe” sarà presente del progetto di ricostruzione virtuale della città di Neapolis, finanziato dai Rotary Club di Oristano e Sassari, da una sovvenzione distrettuale del Distretto Rotary 2080 (Roma-Lazio-Sardegna) e dalla Scuola Archeologica Italiana di Cartagine, presieduta da Attilio Mastino, pioniere dell’archeologia italiana in Tunisia, che sarà compiuto entro la primavera 2020 e sarà donato all’Institut National du Patrimoine, perché sia presentato nel Museo di Nabeul e nello stesso Parco Archeologico di Neapolis.

Il secondo obiettivo della ricerca nell’area del viridarium, quello dell’indagine stratigrafica, ha consentito di chiarire che la Nymfarum Domus fu costruita intorno al 400 d. C., dopo che il sisma del IV secolo d. C., ebbe fatto sprofondare un terzo della città sotto il mare, con il porto e numerosi stabilimenti per la salsa di pesce (garum), dove la Missione Tunisino-Italiana lo ha individuato in pluriennali campagne a partire dal luglio 2010. Fu allora che per evitare il collasso dell’economia cittadina neapolitana, fu costruito un nuovo portus neapolitanus, a 5 km ad est di Neapolis, con nuovi centri per la produzione delle salse di pesce, in località Maamoura.

Proprio in questi giorni, l’Inp di Tunisi, con la direzione congiunta di Mounir Fantar e di Nizar Ben Slimane, ha individuato le prime testimonianze monumentali del nuovo porto di Neapolis a Maamoura, consistenti in un grandioso edificio termale, diviso, dalle officine costiere per i salsamenta (pesce salato e garum), da una strada lastricata in senso Estnordest /Ovestsudovest. A sud della strada sono venute in luce le statue marmoree sia della dea Fortuna con il corno dell’abbondanza e resti del timone, in rapporto probabilmente con la navigazione propizia, sia di un personaggio togato con la capsa (recipiente dei rotoli di documenti), da identificarsi con un magistrato di Neapolis, che estendeva la sua autorità al nuovo porto. (a cura del Consorzio Uno Oristano).

Due croati, Zoran Adazovic, di 40 anni, e Deniro Hadzovic, 26 anni, residenti ad Alghero, hanno pensato di visitare le coste del Sinis e, già che c’erano, di rendere la gita produttiva, rubando quanto trovato all’interno di alcune auto. Gli è però andata male, perchè dopo la denuncia dei proprietari (tre turisti, due stranieri e un’italiana), i Carabinieri di Cabras, insieme ai colleghi del Nucleo operativo e radiomobile di Oristano e della stazione di Solarussa, gli hanno rintracciati e arrestati. I due croati avevano rotto il finestrino di tre auto parcheggiate nei pressi della peschiera Mar’ e Pontis, Maimoni e Mari Ermi, e rubato oggetti e soldi. Sono subito scattate le ricerche e poco dopo i Carabinieri hanno intercettato, nei pressi di Siamaggiore, i due croati a bordo di una Ford Mondeo, dove sono stati trovati i soldi e gli oggetti rubati poco prima. I due sono stati arrestati, e gli arresti convalidati. Zoran Adazovic e Deniro Hadzovic sono poi stati condannati, rispettivamente, all’obbligo di dimora e all’obbligo di presentarsi alla Polizia giudiziaria.

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