Giu 24

Grosso successo a Oristano del “Sardegna Voleyball Challenge” vinto dalla Tent (Serbia).

Al “Sardegna Volleyball Challenge” ha vinto la squadra più forte: la formazione serba della Tent Obrenovac, grazie alle sue sei nazionali (due montenegrine e quattro serbe), ha infatti prevalso con pieno merito.

La prima edizione del Torneo internazionale di pallavolo Under 16 femminile, organizzato dalla Gymland di Oristano, che ha trasformato la città di Eleonora nella capitale sarda del volley, è stata un successone. Alla manifestazione sportiva d’altissimo livello hanno dato lustro, dal punto di vista tecnico, non solo le ragazze serbe, ma tutte le squadre partecipanti (le tedesche della Rotation Prenzlauer, la Nazionale Russa, la Nazionale del Montengro, la Don Colleoni Bergamo, la Quadrifoglio Porto Torres, la Rappresentativa sarda e la Gymland di Oristano).

Questa mattina, al PalaTharros di Oristano, gremito da tanti appassionati, si è disputata la finale che ha visto la Tent prevalere al tie-brak (3-2: 17-25, 25-15, 25-15, 27-29, 15-11) contro la squadra tedesca della Rotation Prenzlauer Berg. I due club si sono presentati alla finalissima dopo aver vinto i gironi eliminatori e superato in semifinale, rispettivamente, la nazionale della Russia e quella del Montenegro.

Il match tra le serbe e le tedesche è stato spettacolare e mai scontato. È durato più di due ore e ha riservato al pubblico oristanese diversi capovolgimenti di fronte. Ha iniziato bene la Rotation Prenzlauer, che nel primo set è apparsa subito in buona giornata; guidata in regia dalla brava palleggiatrice Bullener ha saputo opporre un buon muro e un attacco micidiale, mentre la Tent ha faticato a trovare le giuste misure, stentando più del previsto soprattutto in difesa.

Ma se il primo set ha proposto la superiorità della Rotation, il secondo ha riservato il primo capovolgimento di fronte, con la Tent ben intonata sin dai primi minuti. Le serbe, sfruttando il loro perfetto affiatamento e un ottimo livello tecnico, hanno messo alla frusta le rivali, guadagnando da subito un vantaggio di 4 lunghezze, margine che hanno incrementato poco alla volta, chiudendo alla fine avanti di 10 (25-15). Il terzo set è stato la fotocopia del secondo: Tent da subito avanti, vantaggio che è cresciuto progressivamente fino a raggiungere il massimo dei 10 punti finali (25-15).

Il carattere delle tedesche, che anche in semifinale con il Montenegro avevano ribaltato un risultato che sembrava ormai scontato, è venuto fuori nella quarta frazione. La Rotation Prenzlauer ha registrato il suo gioco, migliorato la difesa e ritrovato l’incisività iniziale in attacco. Più volte in vantaggio ha però dovuto subire il ritorno delle serbe che hanno sprecato diversi match-ball. È stato un set equilibratissimo e spettacolare, concluso sul 29-27 per le tedesche che hanno pareggiato il conto con le serbe, guadagnando il diritto di giocarsi la vittoria finale al tie-break.

Al quinto set però la Tent non ha fatto sconti. Avanti sin dalle prime battute, le serbe sono apparse più precise e determinate, sfruttando qualche battuta a vuoto di troppo delle avversarie. Sempre in vantaggio, la Tent ha poi chiuso 15-11.

 

Il 3-2 finale consegna, quindi, il primo “Sardegna Volleyball Challenge” alla Tent Obrenovac.
La cerimonia di premiazione si è svolta alla presenza del sindaco di Oristano Andrea Lutzu, dell’assessore allo sport Francesco Pinna, del segretario generale della Federazione Pallavolo Serba Ivan Knezevic, delle regine del volley mondiale e madrine del torneo Ekaterina Gamova ed Evgenija Startseva, del presidente della Fipav di Oristano Roberto Puddu, e del presidente della Gymland Bebbo Porcheddu.

La manifestazione va in archivio con un bilancio ampiamente positivo dal punto di vista sportivo, ma anche per la promozione del territorio. 130 giovani promesse della pallavolo europea sono state protagoniste per quattro giorni a Oristano, Cabras e Marrubiu, dando vita a gare spettacolari e di altissimo livello tecnico. Al rientro in patria porteranno e divulgheranno le tante immagini della bellezza del territorio e dell’ospitalità che è stata loro riservata.

Per la società organizzatrice, la Gymland di Oristano, piena soddisfazione e il progetto di onorare “Oristano Città Europea dello Sport 2019” con un torneo ancora più prestigioso e sempre più aperto alla partecipazione delle più importanti nazionali giovanili.

Le cronache, le curiosità e le immagini del torneo sono disponibili sui canali social (Facebook, Twitter, Instagram, Youtube) e sul sito internet ufficiale www.sardegnavolley.com.

Sarà installato all’ospedale San Martino di Oristano, nei locali della Radiologia territoriale, uno dei quattro nuovi mammografi digitali di ultima generazione ad alta capacità diagnostica acquistati dall’Azienda per la Tutela della Salute della Sardegna, per un importo complessivo di circa 700 mila euro. L’apparecchiatura destinata a Oristano ha un costo di 165 mila e comprende, oltre al mammografo, un avanzato sistema per l’esecuzione di biopsie, una poltrona per pazienti ipocollaboranti e i servizi connessi. Il nuovo mammografo, che sostituirà un apparecchio analogico di vecchia generazione, affiancherà quello digitale già presente in Radiologia e permetterà di compiere un ulteriore salto di qualità nelle diagnosi dei tumori al seno grazie all’utilizzo della tomosintesi: si tratta di una tecnologia che sfruttando l’imaging tridimesionale, permette la ricostruzione in 3D della ghiandola mammaria, e consente di individuare e localizzare in maniera estremamente accurata eventuali lesioni, anche in fase precoce, riducendo sia le false diagnosi positive che le false negative. Oltre che affinare la qualità diagnostica, l’installazione del nuovo macchinario si tradurrà anche in una velocizzazione dei tempi per l’accesso agli esami, in quanto saranno abbattuti i “fermi macchina” dovuti alla manutenzione di apparecchiature obsolete. L’acquisto dei quattro mammografi (gli altri tre sono destinati agli ospedali Binaghi di Cagliari, Cto di Iglesias e Segni di Ozieri) rappresenta la prima consistente parte di un intervento complessivo di ammodernamento del parco macchine disposto dall’Ats per il biennio 2018-2019, che prevede l’acquisto di nuove strumentazioni per la diagnosi del tumore al seno, per una spesa stimata intorno ai 2 milioni di euro. L’obiettivo è quello di dotare i vari centri territoriali coinvolti nei percorsi di screening di apparecchiature moderne e innovative, come previsto dagli standard nazionali definiti dal Gruppo Italiano Screening Mammografico (GISMa), e di investire in tecnologie e servizi all’avanguardia per la prevenzione della tipologia di tumore più diffusa fra le donne, che rappresenta circa un terzo di tutti i tumori femminili.

Un anno fa moriva il grande giurista Stefano Rodotà. Gustavo Zagrebelsky e Gaetano Azzariti raccontano “la mancanza della sua voce, mentre si assiste alla frantumazione nazionalistica di quei diritti per cui lui aveva combattuto” Che avrebbe detto oggi Stefano Rodotà? Come avrebbe reagito il giurista che teorizzava il diritto a protezione dei più deboli in un’ Italia che fa la voce grossa con gli ultimi? Quale bussola morale ci avrebbe indicato al cospetto di un ministro dell’ Interno che respinge i migranti, minaccia censimenti etnici, dileggia esseri umani devastati da guerre e miseria?
Raramente un anniversario si rivela nella sua drammatica attualità: a un anno esatto dalla scomparsa, niente sembra più lontano dall’eredità civile e culturale di Rodotà del Paese sovranista che maltratta i più fragili.
«La mancanza della sua voce ci appare ogni giorno più grave e pesante», dice Gustavo Zagrebelsky, che gli è stato affianco in molte battaglie ideali.
«Rodotà ha dedicato il suo impegno culturale a valori quali dignità, umanità, libertà, tolleranza, giustizia, solidarietà: tutti temi provvisti di una portata universale, che non si prestano a essere declinati per nazionalità. I diritti umani sono per tutti – italiani, senegalesi, rom – senza esclusioni. Oggi stiamo assistendo a una frantumazione nazionalistica di questi valori, che non vengono negati in sé ma parcellizzati, reclamati da alcuni a danno di altri. Una pretesa particolaristica che si traduce in compressione dei diritti altrui».
È la fine di un mondo, continua Zagrebelsky, il tramonto di principi sanciti dalla dichiarazione dei diritti universali, stelle polari conquistate dalla storia dopo le catastrofi del XX secolo. «Si blindano i confini esterni e se ne costruiscono di nuovi all’ interno, al fine di separare quelli che stanno con noi ma non sono parte di noi: oggi migranti e nomadi, domani chissà chi altri». Non si tratta di ignorare i problemi che possono derivare dalla presenza dei rom nelle grandi città, «ma il passaggio alle ruspe implica un salto culturale enorme». E allora bisogna trovare soluzioni «senza violare quei principi che sono al centro della ricerca intellettuale di Rodotà».
Una sua parola chiave è “dignità”, il rispetto della persona nella sua integrità, termine a cui attribuiva maggiore immediatezza rispetto a parole storiche come “eguaglianza”, “libertà”, “fraternità” proprio perché più direttamente evocativa dell’ umano. «Come tutti i classici, Rodotà ha anticipato le risposte alle domande ora più urgenti», interviene Gaetano Azzariti, il costituzionalista che ne è stato allievo. «Un punto essenziale della sua costruzione teorica è l’ antropologia dell’ homo dignus, che considerava il grande lascito della Costituzione. Non è un caso che i primi articoli della Carta europea, a cui Stefano diede un contributo essenziale, siano dedicati alla dignità. È una chiave fondamentale per tutti i problemi di ordine politico, economico e sociale, inclusa la questione della sicurezza. La dignità non ha prezzo, come diceva Kant. E non si può barattare con niente. La dignità degli uomini viene prima di qualsiasi cosa. Questo vale per il lavoro, il mercato e l’ impresa. O l’ impresa è degna o non è. O al lavoratore si garantisce un’esistenza libera e dignitosa – l’articolo 36 della Costituzione che gli stava tanto a cuore – o quel lavoro non è degno.
Tutte le grandi questioni si possono risolvere solo sulla base di principi quali dignità e solidarietà perché l’egoismo, ammoniva Rodotà, non può fornire la soluzione dei problemi del mondo».
Quello che ci ha lasciato è un’impalcatura teorica solida, oggi più che mai preziosa per una sinistra politica smarrita. Una costruzione fondata sul “diritto di avere diritti” – è il titolo mutuato da Hannah Arendt per un suo lavoro fondamentale -, sulla tutela dei diritti inviolabili dell’ individuo, in un ampio raggio che spazia dal terreno dell’ identità sessuale allo spazio virtuale. Sterminata era la sua capacità di studio, senza confini disciplinari. «Oggi Stefano sarebbe capace di comporre in un’ unica cornice tutti gli elementi particolari che ci travolgono ogni giorno», dice Zagrebelsky.
«Saprebbe dare un significato generale a episodi apparentemente lontani: ieri la minaccia di chiudere le frontiere, oggi l’ idea che la scorta di Saviano sia ingiustificata. Le grandi tragedie storiche nascono dalla sommatoria di tante piccole vicende di abusi, ingiustizie e pressioni. Io temo il momento in cui questi frammenti possano raccogliersi in un quadro preciso perché ci troveremo dinnanzi a una cosa che non vorremmo vedere. Stefano ci avrebbe aiutato a comprenderla per tempo».
Insieme hanno difeso il diritto dalle intromissioni della politica. Zagrebelsky ricorda una fotografia molto affettuosa a un convegno di Libertà e Giustizia. «Era un uomo tenero e al contempo rigoroso, con una faccia che sembrava scolpita nella corteccia». La sua serietà scientifica rifletteva una serietà esistenziale. «Oggi reagirebbe a questo bollire a fuoco lento della nostra impotente indignazione. Si chiederebbe cosa si può e si deve fare. Non c’ è più lui a mobilitare le coscienze. E molti di noi si domandano se ci sarà e chi sarà un nuovo Stefano Rodotà».
Sempre più rare sono le figure intellettuali capaci di coniugare rigore scientifico e lotta per i diritti, competenze e impegno civile. «Siamo in pochi e disgregati», dice Zagrebelsky. «Mi colpisce che di fronte alle sortite del ministro dell’Interno l’associazione dei costituzionalisti non abbia detto una parola: come se la nostra Costituzione non ci indicasse una strada maestra nelle relazioni sociali».
Per uscire dalla confusione e dalla regressione di oggi, interviene Azzariti, si dovrebbe tornare al suo pensiero forte e sistematico. È stato l’abbandono di queste bussole a determinare l’impoverimento della cultura critica e convintamente democratica». Anche a sinistra, aggiunge l’ allievo, Rodotà non è stato sempre compreso.
«È difficile coltivare grandi ideali senza essere intimamente liberi». Zagrebelsky ne sottolinea un aspetto rimasto finora nell’ombra. «Stefano non ha mai svolto attività professionale. Non ha mai messo la sua scienza di civilista al servizio di interessi estranei alla ricerca o all’impegno. Sicuramente uno come lui, con la sua dottrina, sarà stato sollecitato molte volte a prestare consulenza o a fornire pareri pro veritate nei processi i cui si muovono enormi interessi economici. Non l’ha mai fatto. E anche questa scelta indica quanto tenesse all’autonomia della sua professione». (Simonetta Fiori, la Repubblica).

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