Set 15

Le caratteristiche per trovare lavoro secondo Paolo Maninchedda. 608 parlamentari maturano il vitalizio.

“A leggere con un po’ di attenzione i dati sugli occupati in Sardegna e a incrociarli con ciò che dice l’Istat sulle caratteristiche che deve avere chi cerca lavoro per avere una ragionevole speranza di trovarlo si rimane un po’ perplessi per le ottimistiche dichiarazioni che hanno attraversato il sistema politico sardo.

Intanto, in quali settori sono i nuovi 13.000 occupati? Prevalentemente nel settore turistico: Hotel, ristoranti ecc. Certamente si tratta di un dato positivo, ma è altrettanto vero che tutti sappiamo trattarsi di un fatto dovuto alle estati climaticamente lunghe, all’ottimo lavoro dell’aeroporto di Cagliari, alla congiuntura politica internazionale che ha inibito l’utilizzo turistico delle mete della sponda africana del Mediterraneo. Viceversa gli occupati nell’agricoltura sono invariati, come pure quelli nell’industria.

Semmai c’è da assumere fino in fondo la domanda: quale industria in Sardegna? Bene, quella di una volta, quella da centinai di occupati stabili, fissi e indifferenti ai cicli del mercato, non esiste più. Ieri Davide Madeddu sul Sole 24 Ore dava notizia delle fasi conclusive della vicenda Alcoa (contemporaneamente sui social sardi imperversavano le visioni non proprio rosee del mondo ambientalista) che dovrebbero portare entro ottobre alla definizione del percorso di riapertura della fabbrica: investimenti per 128 milioni di euro (di cui 30 del privato) per un’occupazione di 40 persone.  È vero che il Piano industriale parla a regime di 300 occupati, ma nei giorni scorsi si faceva notare sui giornali che la miniera di carbone per cui Trump ha disdetto gli accordi di Parigi sul clima, ha riaperto con circa 70 addetti, molti meno di quelli attesi e annunciati durante la campagna elettorale a giustificazione del ritiro da uno degli accordi più proficui per l’ambiente e per l’umanità.

Rimango dell’idea che l’industria possibile in Sardegna è un industria di nicchia, di cose ad alto valore aggiunto e legate alla qualità della vita e dell’ambiente. Questo tipo di industria non cerca più le braccia, cerca i cervelli. Sapete che cosa cercano in Italia e nel mondo le industrie agroalimentari e in particolare le imprese del vino? Cercano manutentori di impianti industriali, i quali non hanno più come un tempo le mani sporche di grasso; no, i manutentori sono digitalizzati, conoscono l’inglese, lavorano col tablet.

Le imprese poi cercano tecnici della certificazione di qualità, cercano disperatamente export manager (la gran parte della ripresa attualmente in atto nel Nord Italia nasce dalla capacità della piccola e media impresa di penetrare i mercati orientali). Le imprese cercano ingegneri specializzati nell’elettronica analogica, cercano tecnici delle telecomunicazioni, ma anche meccanici di nuova generazione, capaci di intervenire su macchine costituite largamente da centraline governate da un software.

Bene, la Sardegna a che punto è nella gara dell’istruzione utile per il lavoro? La risposta è semplice: è a un pessimo punto e non ragiona adeguatamente sulla riforma della formazione professionale, sull’integrazione di questo settore con quello dell’istruzione, sul fenomeno dell’overdeucation ossia delle persone laureate che svolgono un mestiere per il quale non è richiesta la laurea (penso ai tanti laureati in lingue che fanno i camerieri), o ancora non si riflette su un fatto rilevante: in Italia il 30% dei posti per i quali è richiesta la laurea non viene coperto per mancanza dei candidati (18%) o per inadeguatezza degli stessi (15% dati Unioncamere).

A me pare che il nesso tra formazione adeguata e possibilità di trovare lavoro in Sardegna non sia adeguatamente colto, né dalla politica né dai cittadini. La gente continua a scegliere un percorso formativo senza un’adeguata strategia personale e poi esige che sia il mercato ad adeguarsi alla sua formazione, adeguata o meno che sia”. (Paolo Maninchedda, presidente PdS, www.sardegnaeliberta.it).

L’Italia, per un giorno, diventa la Svizzera. Come un orologio, puntuale, scatta l’ora dell’onorevole pensione. Per 608 parlamentari è arrivato oggi il fatidico giorno che garantisce una rendita da mille euro al mese dopo soli quattro anni, sei mesi e un giorno di “lavoro”, cioè dall’avvio della legislatura. Gli attuali 20 milioni di italiani in pensione ci hanno messo sicuramente di più. Ma anche per gli eletti non è stato poi facile galleggiare così a lungo tra i marosi dell’instabilità politica che ha visto succedersi in meno di cinque anni tre presidenti del consiglio, 24 ministri e quasi 500 cambi di casacca tra i parlamentari. In mezzo anche un referendum che ha travolto e buttato giù tutto un disegno di riforma costituzionale che a detta dell’ex presidente della Repubblica Napolitano, nel 2013, era la ragion d’essere della legislatura. Con alto senso del dovere gli onorevoli hanno resistito fin qui e sono riusciti nell’impresa: al compimento dei 65 anni potranno godere di un bell’assegno mensile stimato in circa 950-1.000 euro al mese, sempre che non siano rieletti perché allora potranno goderne a 60 anni. Cumulabili con altre rendite previdenziali dovute a eventuali lavori veri, naturalmente. La loro strenua resistenza è ripagata due volte, perché oltre alla pensione in un colpo solo hanno salvato anche tutti i contributi versati in questi anni che avrebbero perso automaticamente in caso di conclusione anticipata della legislatura. E parliamo non di bruscolini ma di 40mila euro cadauno, per un tesoretto stimato in circa 20 milioni: vuoi mica lasciarli allo Stato, o peggio ancora alle casse della Camere?

Come funziona la nuova pensione parlamentare – Con la riforma dei regolamenti delle Camere del 2012 il vitalizio è stato, di fatto, abolito in favore di un assegno pensionistico calcolato col metodo contributivo e pertanto legato a quanto l’onorevole ha versato durante gli anni del mandato. Differentemente il vitalizio veniva calcolato col metodo retributivo ed era molto più consistente: gli assegni dopo solo cinque anni di carica fruttavano infatti 3.108 euro lordi al mese una volta compiuti i 65 anni. Secondo le simulazioni fatte dalla Camera dei Deputati, un deputato eletto nel 2013, quando aveva 27 anni, quando cesserà il suo mandato nel 2018 senza essere riconfermato per il secondo, percepirà nel 2051 (a 65 anni) una pensione compresa tra i 900 e i 970 euro al mese. Per ottenere la pensione gli onorevoli versano un contributo pari all’8,8% dell’indennità lorda pari a 918,28 euro al mese. Un parlamentare che resta in carica per due legislature intere, potrebbe però chiedere la pensione già a 60 anni.

Tutti promettevano, tutti festeggiano – A questo punto è quasi impossibile dire se il gioco a tirare a campare abbia impegnato di più il Parlamento o il governo di turno. Di sicuro l’interesse massimo a superare la fatidica data del 15 settembre è da attribuire ai 608 parlamentari che sono stati eletti per la prima volta nel 2013 e avevano tutto da perdere, anche perché la possibilità di essere rimessi in lista e farsi rieleggere per molti di loro è un puro miraggio, avendo a che fare con una legge elettorale indefinita e con partiti deboli abbarbicati a un ruolo semi padronale del loro leader. I festeggiamenti sono su tutti i banchi, opposizione e maggioranza, partitoni e partitini (e movimenti). I deputati al primo giro di legislatura alla Camera sono 410 e 191 al Senato, per un totale appunto di 608 su 945. Del gruppo fanno parte i 153 eletti con il Movimento 5 stelle (compresi quelli che poi sono usciti dal M5s) e 209 del Partito democratico. Più una quarantina dei 54 eletti di quella che fu Scelta Civica.

Abbasso la demagogia, viva la demagogia – I grillini si sono smarcati dalle accuse chiedendo di andare subito alle urne. Diverso il discorso per i democratici: sono stati eletti quando il leader era Pierluigi Bersani e molti di loro sono diventati renziani in un secondo momento. Dagli scricchiolii di allora è partita la campagna dei Cinque Stelle intorno ai “vitalizi”, che poi sono più correttamente pensioni facili: “Tirano a campare per tenersi il vitalizio, vergogna” diceva Luigi Di Maio invocando il voto anticipato. E dal Pd arrivavano, puntuali, le accuse di demagogia. Dopo il referendum del 4 dicembre anche per Renzi la chiamata al voto diventa un’opzione conveniente rispetto al logorio dei tempi moderni. E così il leader Pd non più premier si accoda alla battaglia mandando in diretta a Floris un sms lapidario sulla questione: “Per me votare nel 2017 o nel 2018 è lo stesso. L’unica cosa è evitare che scattino i vitalizi perché sarebbe molto ingiusto verso i cittadini. Sarebbe assurdo”. Assurdo, proprio. Ma così è andata a finire. Si dice che due indizi fanno una prova. Ed ecco il secondo.

L’incrocio dei pali col ddl Richetti. E gli onorevoli fanno gol – Lo stesso copione di aria fritta e che condisce il tempo vale per il fantomatico “taglio ai vitalizi”, ovvero il ricalcolo con sistema contributivo dei 2.600 trattamenti già in pagamento e dei futuri pensionati ex parlamentari che maturerebbero già a 60 anni se rieletti. Il ddl Richetti che doveva fare tutto questo (il taglio vale il 40% circa dell’assegno) è impantanato da luglio, quando è stato approvato alla Camera. Il M5S ha tentato di spingerlo verso l’approvazione definitiva in Senato ma i tentativi sono andati a sbattere: non c’è fretta, mentre la rissa riempie l’aria il tempo passa e l’impegno a rivedere il più odiato dei privilegi rimane sospeso tra la promessa e l’illusione davanti alla porta della commissione Affari Costituzionali.

Per incassare basta non votare – Come ti incasso la pensione. Per tirare in lungo la legislatura non ci sono arti magiche e fatiche improbe da sostenere, anzi: meno si fa meglio è. Perché le circostanze di una legge elettorale che non c’è e che mai arriva in porto non possono non essere lette sempre e solo con l’alto profilo delle preferenze verso il sistema tedesco, spagnolo, a triplo turno secco e con contorno di misticanza. E ancora: Mattarellum, Provincellum e via dicendo. E mai con l’interesse materiale, oggettivo e di sostanza che accomuna larga parte del parlamento (il 64% degli eletti) a stare ben lontana dalle urne: la prospettiva di pensione, appunto. Il paradosso è che non serve tanto. Si può, ad esempio, scrivere una legge elettorale incostituzionale – come ha fatto Renzi – con l’Italicum che avrebbe dovuto sostituire l’incostituzionale Porcellum. Oppure insistere sul proporzionale alla tedesca come ha fatto il Pd, salvo doverlo poi ritirare dopo un rocambolesco voto alla Camera, dove per errore il tabellone ha mostrato il voto palese rendendo così visibile quanto fosse campata in aria l’idea di un accordo tra i partiti per accendere il disco verde. Figurarsi cosa sarebbe successo al Senato, dove la maggioranza traballa sempre. E fare come gli altri, arroccati sul proprio modello e i vari distinguo, indisposti a una pacificazione che faccia uscire il Paese dall’avere due leggi elettorali per Camera e Senato e nessuna. Unico beneficio apprezzabile di tutto questo? Non andare a votare. E restare in Parlamento.

Le possibili dimissioni rese impossibili – Resta un’arma atomica che – cosa pericolosa di per sé – è stata brandita solo una volta e da un fascista dichiarato. Contro se stesso: la rinuncia. I 608 deputati cadetti pronti a offrire il petto per la battaglia contro i vitalizi avrebbero potuto rinunciarvi spontaneamente. Come? Dimettendosi prima di maturarlo ovvero prima del 15 settembre. Cosa che è riuscita a un solo italiano, il parlamentare missino Enrico Endrich che lasciò lo scranno nel 1955 proprio per protestare contro l’approvazione della legge che istituiva il privilegio. Poi fu rieletto, se lo guadagnò e alla fine si rifiutò di riscuoterlo come anche la moglie. Tra gli ex c’è anche il caso di Gerry Scotti che ha chiesto in mille salse di non riceverlo, si è pure rivolto a Renzi e ancora aspetta. Ma dimettersi non è facile, perché dalla Camere non te ne vai, ti dimettono “loro”, come insegna il caso di Giuseppe Vacciano che anche per non riscuotere quell’assegno ha chiesto quattro volte di lasciare lo scranno e si è visto bocciare la richiesta ogni volta, dai colleghi parlamentari. Sia mai che accada davvero che uno rinunci al privilegio dimostrando che non si muore fulminati per questo. E neppure un fascista ma un ex grillino. Mai e poi mai. (Thomas Mackison, il www.iltattoquotidiano.it).7

Il comune di Oristano ha pubblicato il bando per l’acquisto di alloggi da destinare all’edilizia residenziale pubblica. L’assessorato al Patrimonio utilizza per questo intervento la somma di 480 mila euro, frutto delle economie realizzate con il primo bando, con cui il comune aveva impiegato un milione 100 mila euro di fondi regionali indirizzati a queste iniziative. Gli alloggi dovranno avere le seguenti caratteristiche: se nuovi devono essere già ultimati e/o pronti alla consegna con attestazione di fine lavori non anteriore al 31 dicembre 2008, se ristrutturati devono essere comunque ultimati e pronti alla consegna, se sono in costruzione, in fase di ristrutturazione o da ristrutturare la consegna dovrà avvenire entro 2 – 4 – 6 mesi dalla data di aggiudicazione. Gli alloggi devono essere ubicati nel comune di Oristano, costituire almeno il 60% della quota millesimale generale dell’intero edificio e avere una superficie utile abitativa compresa tra 45 e 95 metri quadrati. Almeno 2 degli alloggi offerti devono avere una superficie utile compresa tra i 60 ed i 95 metri quadrati. Tutti gli alloggi devono essere inseriti nell’ambito dello stesso fabbricato o in un’intera porzione di fabbricato con accesso dedicato. Il criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Le offerte dovranno pervenire al Comune di Oristano – Settore Programmazione, Gestione delle Risorse e Servizi Culturali – Ufficio Protocollo in Piazza Eleonora 44 – 09170 Oristano, entro e non oltre le ore 12 del 12 ottobre 2017. Il bando integrale e gli atti allegati sono pubblicati sul sito istituzionale www.comune.oristano.it e disponibili al Comune di Oristano – Ufficio Patrimonio, Piazza Eleonora n. 44, Palazzo degli Scolopi – 2° piano (Tel. 0783/791270) dove possono essere consultati dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12 e il martedì dalle 16 alle 18.

Un busto di bronzo raffigurante il finanziere Efisio Satta, di Ruinas, in provincia di Oristano, morto in combattimento il 7 luglio 1936 durante la Campagna d’Africa, è stato scoperto nella sede del Comando regionale della Guardia di Finanza, a Cagliari, a cui è intitolata la caserma. Alla cerimonia ha preso parte il comandante generale della Guardia di Finanza, Giorgio Toschi. La manifestazione, a cui hanno partecipato anche i rappresentati di tutte le Forze dell’ordine e il Prefetto, Tiziana Costantino, è stata preceduta da una visita del generale Toschi alle Fiamme gialle regionali. Accolto dal comandante interregionale per l’Italia centrale, generale Edoardo Valente, e dal comandante regionale, geneneale Bruno Bartoloni, Toschi ha incontrato tutti i vertici provinciali dei vari comandi e una delegazione dell’Associazione nazionale finanzieri d’Italia.

 

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