Ott 11

Zone umide dell’Oristanese: proposte di esperti, sindaci, pescatori e dell’assessora Laconi.

Le zone umide e lagunari dell’Oristanese, per decenni fonte di sostentamento, lavoro e sviluppo per intere comunità, sono state al centro di un processo di profonda trasformazione.

Il convegno “Per una nuova rigenerazione ambientale, produttiva e paesaggistica delle zone umide dell’Oristanese”, organizzato dall’Associazione culturale Lucio Abis, a Oristano, ha offerto un importante momento di confronto, riunendo consiglieri regionali, amministratori, studiosi, tecnici ed esperti, per discutere delle criticità e delle opportunità legate alla gestione sostenibile di questi ecosistemi.

Le sfide delle lagune oristanesi

Il presidente dell’associazione, Pietro Arca, ha aperto i lavori ricordando che le lagune e gli stagni, dopo decenni di problemi di gestione, affrontano oggi nuove minacce legate al cambiamento climatico, alla diminuzione dell’apporto delle acque dolci e all’ingresso dal mare dell’acqua salmastra. “Questi fenomeni – ha spiegato Arca – stanno modificando l’habitat naturale e compromettendo gli equilibri biologici dei bacini lagunari, con conseguenze dirette sulla fauna ittica e sull’intero ecosistema.

Con questo convegno, grazie al prezioso contributo dei relatori e degli ospiti, intendiamo individuare le strategie di adattamento e rigenerazione, finalizzandole a tutelare l’ambiente e, allo stesso tempo, a tracciare suggerimenti e proposte per garantire il futuro delle attività produttive, della pesca, del turismo e della salvaguardia dell’ambiente”.

Il punto della ricerca scientifica

Il professor Antonio Pusceddu, del Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente dell’Università di Cagliari, ha illustrato le principali conseguenze del cambiamento climatico sugli ecosistemi marino-costieri del Mediterraneo, con particolare riferimento alle lagune e zone umide dell’Oristanese.

Secondo Pusceddu, le trasformazioni in atto non dipendono soltanto dall’aumento delle temperature, ma soprattutto dalla frequenza e intensità crescente degli eventi estremi, come piogge torrenziali e ondate di calore. Questi fenomeni episodici stanno generando gravi alterazioni negli equilibri ecologici, con effetti diretti su specie sensibili e di interesse economico.

“Abbiamo registrato – ha spiegato Pusceddu – livelli di sofferenza importanti in organismi come i molluschi bivalvi e i pesci, fortunatamente senza episodi di mortalità di massa, come accaduto in altre aree del Mediterraneo, ad esempio nel Nord Adriatico”.

Evidenziando la complessità del regime idrogeologico delle aree lagunari e costiere, sottolineando che la combinazione tra innalzamento del livello del mare, diminuzione delle precipitazioni e carenza di apporto di acque dolci, modifica la qualità e la circolazione delle acque, con la conseguente formazione di zone povere di ossigeno e variazioni nella distribuzione dei nutrienti.

Per il professor Pusceddu, affrontare questi fenomeni richiede interventi di scala ampia, capaci di integrare azioni di mitigazione e adattamento. Tali strategie devono poggiare su dati scientifici aggiornati e monitoraggi continui, che consentano di limitare i danni e, quando possibile, prevenirli.

Il professor Pier Paolo Roggero, del Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione e del Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari, ha richiamato l’attenzione sulle sfide che il cambiamento climatico pone all’agricoltura e alle zone umide dell’Oristanese, ma anche sulle opportunità di gestione sostenibile del territorio.

Roggero ha sottolineato come il Mediterraneo sia oggi una delle aree del pianeta in cui il riscaldamento climatico si manifesta con maggiore intensità e rapidità, tanto da superare la capacità dei sistemi di governo e di gestione di reagire con efficacia.

“Stiamo vivendo – ha spiegato Roggero – un periodo di trasformazioni profonde e accelerate. Il cambiamento climatico è alla base di molti dei problemi che colpiscono gli ecosistemi costieri e agricoli. I processi di mitigazione sono ormai molto difficili: ciò che è stato alterato in due secoli non può essere recuperato in tempi brevi”.

Secondo Roggero, la sfida non è più soltanto ridurre gli impatti, ma imparare a gestire in modo adattativo e resiliente le risorse disponibili, garantendo la sopravvivenza dei sistemi naturali e delle comunità umane che da essi dipendono.

“La gestione di un sistema ecologico è estremamente complessa – ha concluso Roggero -, ma è l’unica strada per affrontare un cambiamento che non possiamo più ignorare”.

Il presidente del Centro Marino Internazionale (IMC) di Torre Grande, Alberto Navone, ha affrontato il tema della gestione delle zone umide dell’Oristanese, ponendo l’accento su ciò che occorre fare oggi per pianificare per il futuro.

Navone ha sottolineato l’importanza di un approccio condiviso e integrato nella gestione delle lagune e delle aree costiere, che tenga conto delle diverse attività economiche e ambientali presenti. Ha ricordato che l’IMC di Torre Grande rappresenta una struttura unica in Sardegna, con 25 operatori, di cui 20 ricercatori del CNR, impegnati in progetti di ricerca applicata e di supporto alle imprese locali.

Tra le attività del Centro rientrano gli studi sulla qualità dei sedimenti, sulla produttività degli stagni e sulla pianificazione sostenibile delle risorse lagunari. Navone ha ribadito la necessità di definire piani di gestione integrata non solo per la pesca, ma anche per il turismo e le altre attività produttive, che possono diventare motori di sviluppo sostenibile. E ha inoltre ricordato che queste aree fanno parte della rete europea Natura 2000, e che una gestione coordinata tra enti e istituzioni potrebbe contribuire a risolvere molti problemi ambientali e di sviluppo locale.

In conclusione, Navone ha proposto l’apertura di un tavolo di coordinamento tra tutti i soggetti coinvolti, evidenziando però che i processi di valutazione tecnico-scientifica richiedono tempi adeguati e non possono essere affrontati con logiche di urgenza.

Buone pratiche e adattamento

Manuela Puddu, responsabile dell’Unità Zone Umide e Cambiamenti Climatici della Fondazione Medsea, ha illustrato il lavoro svolto nei territori di Marceddì e S’Ena Arrubia, individuati come veri e propri laboratori di adattamento ai cambiamenti climatici.

Puddu ha spiegato che negli ultimi anni si è registrato un aumento esponenziale degli eventi estremi (piogge torrenziali, ondate di calore e lunghi periodi di siccità), che stanno modificando profondamente gli equilibri degli ecosistemi naturali e artificiali, con effetti diretti sulla vita delle comunità locali.

“Le zone umide – ha ricordato Puddu – svolgono un ruolo cruciale nella mitigazione degli impatti climatici, agendo come bacini naturali che riducono il rischio di alluvioni e proteggono il territorio circostante.

Per affrontare queste sfide servono interventi sia su scala ampia che locale, ma soprattutto la partecipazione attiva dei cittadini. Solo con una maggiore consapevolezza e collaborazione sarà possibile rendere i territori più resilienti”.

Nel corso del suo intervento, Puddu ha descritto le diverse criticità riscontrate: “A Marceddì, l’aumento delle piogge estreme provoca un eccessivo apporto di sedimenti e un’eutrofizzazione delle acque, mentre a S’Ena Arrubia si osserva la diffusione di specie aliene invasive, favorite dal riscaldamento climatico e in grado di compromettere la biodiversità locale. Dobbiamo imparare ad adattarci, trasformando le difficoltà in occasioni per rafforzare la capacità dei territori e delle comunità di convivere con i cambiamenti in atto”.

La voce dei territori

Il sindaco di Terralba, Sandro Pili, ha evidenziato la necessità di accelerare i tempi di utilizzo dei fondi destinati alle aree umide: “Le risorse ci sono, ma l’attuazione è troppo lenta. Servono risposte concrete per contrastare l’aumento della salinità e i fenomeni di allagamento che mettono in crisi ambiente e produzione”.

Il sindaco di Cabras, Andrea Abis, ha sottolineato l’urgenza di una gestione integrata e coordinata: “Le nostre lagune sono sistemi complessi, spesso fragili dal punto di vista idrogeologico, ma fondamentali per l’economia locale. L’innalzamento del livello del mare, previsto in modo significativo entro il 2050, impone misure di adattamento immediate”.

La sindaca di Arborea, Manuela Pintus, ha richiamato la necessità di semplificare i procedimenti amministrativi e di dare una norma quadro che regoli in modo chiaro la gestione dei compendi lagunari: “Abbiamo risorse e progetti, ma mancano gli strumenti normativi per agire in tempi rapidi”.

Il sindaco di Nurachi, Renzo Ponti, ha illustrato l’esperienza del “Contratto di Costa”, che coinvolge undici Comuni e diversi enti: “È nato per costruire una governance condivisa delle aree costiere e umide. Oggi abbiamo bisogno di renderlo operativo, creando un osservatorio permanente sulle zone umide che raccolga dati scientifici e li renda disponibili per una gestione trasparente e consapevole”.

La voce dei pescatori

Il presidente della Cooperativa Sant’Andrea di S’Ena Arrubia, Alessandro Porcu, ha portato all’attenzione del convegno le difficoltà quotidiane del settore della pesca lagunare, sottolineando la necessità di interventi urgenti e di una programmazione chiara.

Porcu ha spiegato che la pesca intensiva nelle lagune oggi non è praticabile, né dal punto di vista normativo né ambientale: “Ci abbiamo provato, anche con il supporto dell’IMC di Torre Grande, ma non è possibile. Lo hanno tentato anche prima di noi, ma le regole e le condizioni attuali non lo consentono”.

Porcu ha ricordato, inoltre, le pesanti criticità ambientali che affliggono le lagune, aggravate dai fenomeni di moria del pesce che negli ultimi anni hanno messo in ginocchio le cooperative locali. “L’assessora della Difesa dell’Ambiente conosce bene la situazione – ha detto Porcu -, ci siamo confrontati più volte: senza interventi di ripristino e manutenzione della laguna, come hanno già evidenziato i sindaci di Arborea e Terralba, non si può andare avanti”.  E ha quindi ribadito l’urgenza di una programmazione stabile e condivisa, che permetta di garantire la sopravvivenza della pesca tradizionale e la tutela degli ecosistemi lagunari da cui dipendono le comunità locali.

Verso una strategia regionale

L’ex assessore regionale dell’Urbanistica e attuale presidente del Consorzio UNO – l’Università di Oristano, Gian Valerio Sanna, ha sottolineato la necessità di un cambio di passo nella gestione delle zone umide dell’Oristanese, che ha definito “il sistema ambientale più importante della Sardegna”.

Sanna ha evidenziato come, troppo spesso, si intervenga in condizioni di emergenza, mentre servirebbe una visione stabile e strutturata, capace di coinvolgere tutti i soggetti interessati (enti locali, università, centri di ricerca, operatori e associazioni ambientaliste) in un’unica strategia di governo del territorio. E ha quindi proposto che la Regione Sardegna istituisca, per legge, i “Contratti di fiume e di costa” come strumenti di riferimento per la programmazione e le decisioni condivise nei siti più sensibili, collocando la sede operativa in provincia di Oristano, punto di coordinamento per le attività legate alla gestione delle lagune e delle aree costiere.

Gian Valerio Sanna ha richiamato anche l’importanza del collegamento tra ricerca, formazione e sviluppo locale, ricordando la nascita presso l’Università di Oristano, del corso di laurea in Biotecnologie marine e degli ecosistemi acquatici, e la richiesta avanzata all’Università di Cagliari e alla Regione per l’attivazione di nuovi ricercatori stabili.

“L’obiettivo – ha spiegato Sanna – è creare un rapporto continuativo con il Centro Marino Internazionale di Torre Grande, per mettere la ricerca scientifica al servizio della pesca, dell’ambiente e del turismo sostenibile, garantendo un futuro alle comunità locali e alle nuove generazioni”.

Le conclusioni dell’assessora regionale all’Ambiente

In chiusura dei lavori, l’assessora regionale dell’Ambiente, Rosanna Laconi, ha ringraziato l’Associazione Lucio Abis per l’organizzazione del convegno e tutti gli esperti intervenuti, sottolineando il valore e la profondità dei contributi che hanno offerto spunti concreti per l’azione amministrativa.

Laconi ha ricordato che le aree lagunari dell’Oristanese rappresentano circa il 45% delle zone umide della Sardegna, un patrimonio ambientale di eccezionale valore che merita una gestione coordinata e strategica. Ha però evidenziato come la frammentazione delle competenze (suddivise tra assessorati regionali, enti scientifici, agenzie ambientali, province e comuni) rappresenti oggi uno dei principali ostacoli a un’azione efficace.

“Temi così complessi – ha affermato l’assessora – richiedono strumenti adeguati e una governance capace di integrare competenze e decisioni. Non si può intervenire quando le responsabilità sono disperse tra decine di soggetti”.

Laconi ha poi espresso apertura verso strumenti di collaborazione come “ i contratti di fiume e di costa”, riconoscendone l’utilità nel favorire un approccio condiviso e operativo, capace di riunire attorno a un unico tavolo tutti gli attori istituzionali e territoriali. E ha proposto, inoltre, di valutare la costituzione di una struttura regionale unitaria dedicata alla pianificazione e alla gestione integrata delle aree umide, incardinata presso la Regione, con il compito di tradurre in azioni concrete una strategia regionale di adattamento ai cambiamenti climatici.

“Dobbiamo uscire dalla logica dell’emergenza – ha concluso l’assessora – , e costruire una politica interassessoriale di prevenzione e formazione. Solo così potremo affrontare le crisi in modo preparato e sostenibile, garantendo tutela ambientale, qualità della vita e sviluppo equilibrato dei territori”.

È terminato poco prima delle 14, il sopralluogo sulla provinciale 92, a Terralba, nel punto in cui lo scorso 26 settembre era stato ritrovato il corpo senza vita di Claudio Manca, 56 anni. Le circostanze della morte restano ancora da chiarire e l’attività odierna rappresenta un passaggio cruciale nelle indagini coordinate dalla Procura. Sul luogo erano presenti i Carabinieri, il medico legale, i consulenti tecnici nominati dalla famiglia e dalla difesa, oltre agli avvocati delle due parti. Gli accertamenti si sono concentrati sul canale e sul tratto di strada dove la vittima era stata rinvenuta, con l’obiettivo di ricostruire in modo più preciso la dinamica dei fatti. Nella mattinata, prima dell’ispezione sul posto, sono stati effettuati rilievi sull’auto e sulla bicicletta di Manca, considerati elementi chiave per comprendere quanto accaduto. Per la morte dell’uomo si trova in carcere, con l’accusa di omicidio volontario, l’imprenditore Battista Manis, 52 anni, anche lui di Terralba. La sua posizione è al centro delle verifiche in corso, che dovranno stabilire se la ricostruzione proposta dalla difesa regga di fronte alle nuove evidenze tecniche. Il sopralluogo, al quale hanno preso parte anche i consulenti di parte, segna dunque una tappa importante nel lavoro investigativo, che punta a fare piena luce su una vicenda che ha profondamente scosso la comunità di Terralba. (Elia Sanna, Web news Sardegna – Telegram).

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