Gen 27

Antonio Gramsci: “Odio gli indifferenti”.

Nel 1917 Antonio Gramsci pubblicò il numero unico “La città futura” dedicato ai giovani devastati nel corpo e nella mente dalla guerra. Mai come oggi le sue parole sono necessarie perché portatrici di speranza.

Pubblicarle ogni tanto in questa piccola rivista on line (www.sardegnasoprattutto.com) ci riempie di orgoglio e di futuro. Ci aiuta inoltre a ribadire che il pensatore sardo, uno dei più importanti padri della patria, è nostra costante bussola in tutto ciò che facciamo. Perché le sue memorabili parole e il suo pensiero sono ancora capaci di interrogarci per costruire la città futura fondata sulla responsabilità, l’impegno, l’etica, il bene comune, le pari opportunità. Leggiamole bene specie oggi, “Giornata della memoria”, per condividerle totalmente ogni giorno dell’anno (Maria Antonietta Mongiu).

“Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica.

L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E’ la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza.

Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare.

La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell’ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa.

I destini di un’epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell’ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente.

E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo?

Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.

I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità.

E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.

Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l’attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.

Vivo, sono partigiano.

Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”. (Antonio Gramsci; da www.sardegnasoprattutto.com).

Una delegazione del Comune di Milis, guidata dal sindaco Sergio Vacca e da due consiglieri che rappresentavano maggioranza e opposizione, ha deposto una corona nel Sacrario delle Fosse Ardeatine, a Roma, per commemorare la Giornata della Memoria. Un filo ideale ha unito la comunità milese e il Sacrario attraverso il ricordo della tragedia della seconda guerra mondiale. Il ricordo delle vittime dei bombardamenti alleati che, nel maggio e nel luglio del 1943, distrussero l’aeroporto di Milis, una parte dell’abitato e provocarono la morte di tre cittadini, di 22 militari italiani e di 16 tedeschi, si collega con la strage nazifascista delle Fosse Ardeatine. Cosa lega episodi così diversi? “La voglia, specie oggi, di pace e fratellanza – ha detto il sindaco di Milis Vacca – che nasce dal riconoscimento dell’orrore della guerra e della necessità della memoria, che può svilupparsi solo dopo che si conoscano i lati più orrendi e devastanti di ciò che è stato. Il Comune di Milis nella primavera del 1945, con la guerra ancora in corso, sollecitato da un suo cittadino illustre, dedicò un’area del cimitero alle sepoltura dei militari italiani e tedeschi, considerandoli tutti senza distinzione propri figli e fratelli. E uno storico contemporaneo ha considerato il gesto della comunità di Milis come un tassello della costruzione dell’Europa Unita, che avrebbe consentito (come è poi avvenuto per 75 anni) di vivere in pace, in prosperità, senza dover più conoscere le distruzioni e gli orrori delle guerre”. Le Fosse Ardeatine, tra i più tragici esempi di crudeltà della seconda guerra in Italia, sono il simbolo della Memoria, del riscatto dall’orrore bellico e dalle sue aberrazioni. Sono anche monito agli uomini e alle loro aggregazioni statuali. La pace e la solidarietà tra popoli come elementi essenziali per lo sviluppo di una Comunità allargata: l’UE. “Ecco i motivi – ha detto il sindaco Vacca – dell’invito al Comune di Milis a partecipare alla cerimonia commemorativa”. Cerimonia che si è conconclusa con i brevi interventi del Generale Veltri, commissario per le Onoranze ai Caduti; del Generale Ciampini, responsabile dei Sacrari Militari; e del sindaco di Milis, Sergio Vacca, a nome della comunità milese.

Venerdì 31 gennaio, alle 18, all’Antiquarium Arborense di Oristano, Margherita Orsino, docente di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università Jean Jaures di Tolosa, terrà la conferenza dal titolo: “Il cavallo mitico e il calendario: presenza del cavallo nelle feste rituali stagionali, dalla tradizione greca alla Sartiglia”. L’appuntamento, organizzato dalla Fondazione Oristano in collaborazione con l’assessorato alla Cultura del Comune di Oristano, si inserisce nel calendario degli eventi che precedono il carnevale e, in particolare, la Sartiglia. La conferenza fa parte di un progetto culturale attivato dalla Fondazione Oristano, in collaborazione con l’Università di Tolosa, che prevede anche la realizzazione di un documentario sulla giostra oristanese. Margherita Orsino, che è già in città con la sua equipe per documentare, attraverso immagini e interviste ai protagonisti, il cerimoniale della festa della Candelora, da anni è impegnata negli studi sulle forme popolari e le culture subordinate nell’area romanica e, attualmente, sta lavorando, nella sfera delle arti e delle tradizioni popolari, sul simbolo transculturale della maschera. Nel corso della conferenza Orsino metterà in risalto il frutto delle ricerche condotte sulla figura del cavallo, nell’ambito della mitologia dell’area greco romana, nei miti legati alle attività agricole e guerriere fino ad arrivare ai riti carnevaleschi e alla Sartiglia, giostra equestre, ma anche festa rituale di fecondità, in cui il significato simbolico del cavallo ritrova molteplici significati, in un sincretismo religioso e culturale.

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