Mar 01

I pastori confermano la tregua, ma la vertenza per il prezzo del latte continua.

I pastori sardi per il momento non torneranno in strada a versare il latte. Ma potrebbero escogitare nuove forme di protesta per farsi sentire e chiedere un prezzo più alto per il prodotto del loro lavoro.

Nel frattempo, è stato dato pieno mandato a una delegazione per proseguire le trattative: il 7 marzo è un programma il secondo round, in Prefettura, a Sassari, per cercare di chiudere un accordo tra allevatori e industriali caseari.

È quanto emerso dall’assemblea, a Tramatza, un incontro molto partecipato che ha coinvolto un migliaio di pastori. Nelle fasi iniziali della riunione diversi delegati hanno denunciato la “sparizione” di molti politici ed esponenti del governo nazionale e regionale, che prima del voto facevano la fila per manifestare solidarietà e appoggio alla battaglia degli allevatori. Durante il dibattito sono stati condannati anche gli ultimi episodi di violenza e minacce nei confronti degli addetti ai trasporti del latte.

Rimane, però, ancora senza soluzione la questione del prezzo. L’obiettivo è innanzitutto quello di partire da una soglia minima più alta di quella emersa nel tavolo, a Cagliari, con il ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio e ribadita alla ripresa del negoziato a Sassari: 72 centesimi al litro.

La controproposta dei pastori è quella di arrivare a 80 centesimi subito per raggiungere il traguardo di 1 euro a fine stagione. In questi giorni gli allevatori attendono anche i movimenti dalla Borsa di Milano per mettere in moto il meccanismo che, attraverso il rialzo del prezzo del Pecorino romano, dovrebbe far sollevare anche il valore del latte sul mercato.

“Stiamo lavorando tutti per dare una soluzione ottimale alla questione. Il 7 marzo si riunisce nuovamente il tavolo di lavoro con i punti concordati anche da loro!”, cosi’ il ministro dell’Agricoltura Centinaio ha risposto, con un tweet, alle critiche mosse oggi dai pastori.

Intanto, dopo gli assalti ai furgoni e alle autocisterne del latte, sono state incrementate le misure di vigilanza attraverso il potenziamento dei servizi di controllo del territorio.

“Se c’è qualcosa che ci fa italiani, differenziandoci da tutte le altre nazioni e unendoci tra noi al di là delle infinite diversità della Penisola, ebbene, quel “qualcosa” è il legame tra pietre e popolo. Una identità affermata nell’unico tra i principi fondamentali della Costituzione – l’ articolo 9 – a pronunciare la parola “nazione”, rendendola inseparabile dalla “tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico”. Non il sangue, non il colore della pelle, non la lingua, non la fede: è invece l’appartenenza reciproca tra umani e territorio (un’ appartenenza che non si acquista per nascita, ma per cultura) a farci italiani.Ma oggi, mentre grida “prima gli italiani”, la Lega di Matteo Salvini è impegnata a scardinare proprio questo: cioè l’Italia. Presto, forse anche prima delle Europee, il Parlamento sarà chiamato a ratificare l’ intesa tra lo Stato e le regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna per la loro “autonomia differenziata”: si voterà, ma il testo non sarà modificabile. “Come avviene per i trattati tra stati stranieri”, ha detto Salvini intervenendo ad una puntata di “Agorà”. Stati stranieri: ecco il ritorno, esplicito, della secessione. La secessione dei ricchi, per riprendere il titolo dell’utile libro (scaricabile gratuitamente dal sito di Laterza) in cui l’ economista Gianfranco Viesti spiega quali saranno le conseguenze dell’autonomia differenziata delle tre regioni che producono il 40% del Pil italiano, e che mirano a tenersi i soldi delle loro tasse: la fine di ogni solidarietà nazionale e l’ abbandono delle regioni più povere, quelle del Sud. “Un’operazione – ha scritto lo storico Piero Bevilacqua in una lettera aperta al presidente Mattarella – di aperta eversione dello Stato repubblicano, tenuta sotto silenzio per mesi dalle forze politiche promotrici, nella disinformazione generale dell’opinione pubblica”. Moltissime sono le competenze oggi statali che le tre regioni rivendicano (ben 23 Lombardia e Veneto, 15 l’Emilia). Tra di esse, la tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale. Le regioni con il consumo di suolo più alto del Paese chiedono ora le mani definitivamente libere sul loro territorio. Evidentemente per finire il lavoro. E che l’ ispirazione di questa indipendenza di fatto sia “sviluppista”, e non certo ecologista, lo testimonia il fatto che la Lega, contemporaneamente, impedisce l’autodeterminazione del popolo della Val di Susa sul Tav: l’autonomia va bene solo se porta più cemento. Il paradosso è che esiste già una regione in cui l’ambiente dipende in toto dalla Regione: la Sicilia. L’autonomia concessale addirittura prima della Costituzione ha creato nell’isola uno stato parallelo, in cui le sorti delle coste, delle foreste e del patrimonio culturale dipendono da soprintendenze nominate e controllate dal potere politico regionale. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: le mani della politica (e non solo) sul territorio; e dunque lo sfascio pluridecennale di un ambiente e di un patrimonio culturale tra i più importanti del mondo. Ma, dice la Lega, le regioni del Nord hanno una classe dirigente diversa da quella della Sicilia: tesi difficile da sostenere nei giorni in cui entra in galera il celeste Formigoni, per 18 anni alla guida della Lombardia. O anche solo rammentando che l’onnipotente doge veneto Galan è egualmente agli arresti. Sempre ad “Agorà”, Salvini ha detto esplicitamente: “Che male c’ è se il direttore di Brera o il soprintendente di Milano saranno nominati dalla regione Lombardia invece che dal ministero per i Beni culturali?” Accanto ai mali evidenti in Sicilia – quelli che verrebbero dal corto circuito tra un potere locale vicinissimo e chi dovrebbe tutelare valori (culturali e ambientali) non negoziabili sul piano del consenso immediato – ce ne sono anche altri. È chiaro che con Brera ai lombardi e l’Accademia di Venezia ai veneti si inizierebbe a costruire una cultura etno-nazionale, cioè proprio quella che la nostra Costituzione (e prima la nostra storia comune) hanno escluso. Fondamento visibile e riconosciuto della Nazione, e dunque della sua unità, il patrimonio storico e artistico non può essere diviso in base a sotto-appartenenze locali. La Repubblica tutela non solo il patrimonio in sé, ma la sua appartenenza alla nazione: ogni cittadino, membro della nazione e sovrano, è così proprietario dell’ intero patrimonio nazionale, senza altre limitazioni. È per questo che un napoletano possiede il Palazzo Ducale di Venezia, o le Dolomiti, non meno di un veneto. Quel che stiamo ora preparando è invece un tribalismo escludente: che è lo stesso rischio della scuola regionale, in prospettiva dialettale, prevista dalla stessa “riforma”. Un’idea contro cui gli studenti sono già scesi in sciopero venerdì scorso, dimostrando più senno dei loro padri. Il paradosso è che ora Salvini e i suoi “sparano” all’unità nazionale con una “pistola” forgiata dalla riforma del Titolo V della Costituzione imposta dall’ Ulivo (2001), e “caricata” dalle pre-intese firmate dal governo Gentiloni. Come in quasi tutto il resto, dunque, anche in questo caso nessun cambiamento: perfetta continuità con il peggio della nostra storia recente. Ma c’ è una novità: le conseguenze di questo “sparo” rischiano di essere letali”. (Tomaso Montanari, storico dell’arte, accademico ed editorialista, presidente “Libertà e Giustizia”).

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