Nov 20

“Smartphonemania”, malattia che da dipendenza.

E’ sempre più difficile, ai nostri giorni, vedere qualcuno che cammina per la strada con lo sguardo rivolto in avanti. Molte persone hanno, infatti, gli occhi rivolti verso il basso ad osservare lo schermo del telefonino.

Non c’è niente da fare, soprattutto i giovani, ma anche chi ha superato gli anta non è per niente immune dalla “smartphonemania”, malattia che da dipendenza e che colpisce, democraticamente, una larga parte di cittadini “…senza distinzioni di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (liberamente tratto dall’art.3 della Costituzione).

Occhio allo schermo, quindi, dello smartphone (per quei pochi che, come me, sono poco tecnologici, si tratta di un apparecchio elettronico che combina le funzioni di un telefono cellulare e un computer palmare. ndr) perchè, non sia mai, ci possa sfuggire il quotidiano “buongiorno”, o l’ultimo messaggino, a cui, manco a dirlo, non si può fare a meno di rispondere. E a chi ci contesta che siamo un tantino esagerati, viene facile replicare che rispondiamo a tutti i messaggi per educazione, correttezza, buona creanza, e anche per non passare da montati, boriosi e supponenti, e correre quindi il pericolo di essere scambiati per dei politici.

Se poi vi capita di vedere che qualcuno cammina per Oristano, sul marciapiede, col naso sul display e suda intensamente, non è perchè deve fare una fatica immane a scansare buche, mattonelle divelte, erbacce e muschio sugli infidi marciapiedi (che, soprattutto nelle zone periferiche, con un grande tocco artistico forse per scopiazzare Gaudì, sono particolarmente ondulati, e ricoperti di catrame e cemento: una vera sciccheria. ndr), ma perchè sta cercando, disperatamente, d’interpretare un messaggino su whatsapp composto da sole faccine.

Di solito le emoji (perlomeno nelle intenzioni dell’autore) dovrebbero esprimere lo stato d’animo del momento, ma visto che spesso e volentieri le faccine sono inserite a pera e sono quindi di difficile interpretazione, colui che deve rispondere  al messaggio viene colto dal timor panico di passare per ignorante, incompetente, inadeguato, e chi più ne ha più ne metta; insomma, di essere considerato out, fuori moda, antico. Basterebbe scrivere “Scusa, non ho capito”, e tutto sarebbe risolto. Ma quando mai, e dove sta l’acume di uno posseduto dalla “smartphonemania”? Impossibile non interpretare una faccina sorridente e un’altra con le lacrime e gli occhi tristi, un cuoricino rosso e uno verde (vegetariano? boh!), una faccina rossa furiosa e una dubitativa con tanto di mano sotto il mento, spedite nello stesso messaggio senza parola alcuna.

Con le ghiandole sudoripare esauste e completamente divorato dalla tensione, il malcapitato sta per rispondere con altrettante faccine “ad minchiam” (locuzione, che rende bene l’idea, creata dal mitico professor Franco Scoglio, allenatore di Genoa, Bologna, Torino, Napoli, prematuramente scomparso. ndr), quando si trova col muso per terra per colpa di una mattonella assassina. Qualche anima pia lo aiuta a rialzarsi e dopo avergli suggerito per prima cosa di denunciare il Comune, gli chiede poi se sia fatto male. Il poveretto ha dolori dappertutto ma, prima di rispondere, il suo sguardo va con il cuore in gola allo smartphone che tiene ancora in mano. Appena si rende conto che il telefono non ha neppure un graffio, il sollievo è così grande che, benchè ammaccato, non sente più alcun dolore e risponde “No, grazie, per fortuna sto benone!”.

Certo il nostro ha corso il rischio di farsi male seriamente, ma ciò che conta è aver salvato il telefonino. Senza ci si sente persi. Come si fa a non rispondere alla email di un’amica che è seduta a fianco? A non confermare immediatamente una richiesta di amicizia? A non vedere l’ultimo post di chicchessia? Impossibile non essere sempre presenti sui social network (chiamarla rete sociale non fa figo. ndr), praticamente 24 ore su 24. Volete mettere la goduria nel vedere quanto siete veloci con la tastiera nel rispondere a uno dei tanti “Napalm61” di crozziana memoria che sta tutto il giorno davanti al computer o col telefono in mano a vomitare bile? Ma quando mai…

Oggi è in crescita esponenziale, soprattutto tra i giovani (ma non solo), il numero delle persone che navigano in Internet tramite il loro smartphone e hanno un account su Facebook, dove danno sfoggio a post e commenti in tutta libertà. E di questo si sentono appagati. Se poi, sintetizzando, si perdono i veri rapporti interpersonali e i ragazzi non sanno più scrivere in italiano non importa a nessuno.

Per carità, ciascuno di noi è libero di esprimersi come più gli aggrada e con i mezzi che ritiene opportuni, ma sarebbe certamente più “salutare” comunicare de visu, dal vivo, piuttosto che attraverso un telefono o il computer.  Ma vedere, come credo sia capitato a ciascuno di voi, gruppi di ragazzi seduti al tavolino di un bar che non dialogano tra loro perchè impegnati a smanettare con il cellulare, desta una grande desolazione. Ma si sa, noi diversamente giovani siamo solo dei nostalgici.

Gli adolescenti convivono con le nuove tecnologie della comunicazione dal momento in cui si alzano dal mattino e accendono Internet, all’istante in cui si addormentano, al punto che non riescono a immaginare di poter vivere senza il proprio Smartphone. La generazione “sempre connessa” sperimenta una condizione ambivalente: apertura o chiusura? Pensiero flessibile e dinamico oppure omologazione e dipendenza? Condivisione o solitudine? Sul rapporto che i giovani hanno con la Rete, più di 5000 studenti hanno risposto alle domande dell’antropologo Bachisio Bandinu volte a esplorare i tempi e i modi del contatto e delle relazioni, il formarsi dell’identità digitale, le amicizie virtuali, l’educazione al cosmopolitismo e alla democrazia, il raffronta tra assuefazione e coscienza critica, il valore dei “mi piace” e dei “condivido” nei social network. Quello che emerge è un quadro problematico degli esiti emotivi e cognitivi che investono l’esperienza di un nuovo arcipelago Giovani. Risulta ancor più urgente, quindi, la necessità di una educazione digitale. Tutto ciò Bachisio Bandinu lo ha riportato sul libro “Lettera a un giovane sardo sempre connesso”, edito da Domus de Janas, dedicato proprio ai giovani internauti. Una lettera aperta ai giovani d´oggi, frastornati da mille stimoli, da messaggi televisivi e commerciali, spinti in una corsa che pare frenetica, e che debbono, invece, confrontarsi quotidianamente con spazi ristretti e tempi lentissimi. Bandinu avvia con loro una serie di stimolanti ragionamenti sul loro essere giovani e sul loro essere sardi. “Ci sono ragazzi – ha detto Bandinu durante una delle tante presentazioni del libro in varie città della Sardegna – che si escludono completamente dalla comunità, che comunicano solo dal cellulare o dal telefonino. Qualcuno ha migliaia di amicizie ma non ha chiaro il concetto di amicizia. C’è urgenza di introdurre un’educazione digitale, perché la rete non è solo uno strumento, ma una realtà vissuta che nasconde insidie da cui sapersi difendere. Internet – ha detto ancora l’antropologo – è certamente una ricchezza con tanti aspetti positivi, ma nasconde tanti inganni. Soprattutto gli adolescenti, il cui l’io identitario non è ancora formato, sentono una pulsione, una forte necessità di essere presenti in rete, rendendo pubblici aspetti della vita privata, quasi che, se non si è in rete non si esiste. Ecco il perché del trionfo dell’apparire sull’essere”.

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