Gen 03

Sacchetti per la frutta a pagamento. L’ha imposto il governo, non l’Unione europea.

“Il divieto è scattato al grido di “Ce lo chiede l’Europa”. Ma Bruxelles, a ben guardare, non c’entra nulla con il diktat che dal 1° gennaio impone ai consumatori italiani che acquistano frutta e verdura di confezionarle in sacchettini di plastica biodegradabile e compostabile rigorosamente usa e getta e a pagamento.

E’ stato il governo Gentiloni, con un emendamento infilato la scorsa estate nel Dl Mezzogiorno durante il passaggio al Senato, a imporre un diktat che la direttiva comunitaria del 2015 non prevedeva affatto. Il testo europeo, infatti, si focalizzava soprattutto sulle borse in plastica per insacchettare la spesa (quelle che in Italia sono state messe fuori legge già dal 2012) e precisava esplicitamente la possibilità di escludere dalle misure le bustine trasparenti per frutta e verdura. Tanto che solo la Francia ha imboccato la stessa strada dell’Italia, mentre la maggior parte degli stati membri si è limitato alle buste per la spesa in plastica tradizionale, mettendole a pagamento.

Risultato: mentre i benefici ambientali del provvedimento italiano rimangono da verificare, a guadagnarci sarà chi produce polimeri a base vegetale e sacchettini in bioplastica. A partire dal leader italiano del comparto, la piemontese Novamont guidata da Catia Bastioli, che ha inventato la bioplastica biodegradabile e compostabile Mater-bi. Bastioli nel 2011 ha partecipato alla Leopolda e nell’aprile 2014, due mesi dopo l’insediamento di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, è stata da lui nominata presidente della partecipata pubblica Terna. A metà novembre 2017, poi, il segretario Pd durante il suo tour in treno ha visitato l’azienda e incontrato a porte chiuse i vertici

Un mercato ghiotto
Secondo le prime stime della società di consulenza specializzata Plastic Consult, il mercato dei sacchettini per l’ortofrutta in bioplastica potrebbe valere in Italia circa 100 milioni di euro all’anno, per un volume di circa 25mila tonnellate. Un mercato ghiotto. E nei giorni scorsi Il Giornale ha sottolineato come la novità legislativa “farà ricco” il gruppo della chimica verde Novamont, maggiore produttore italiano di biopolimeri e tra i leader mondiali del settore. “Ma non è così. Oggi sul mercato ci sono dieci diverse aziende chimiche attive a livello mondiale”, dice a ilfattoquotidiano.it Stefano Ciafani direttore generale di Legambiente e tra i maggiori sostenitori della legge. Novamont è da anni partner dell’associazione, che comunque assicura “coerenza e libertà”. Se è vero che Novamont non è l’unico produttore di bioplastica, certo è che la misura farà lievitare il giro d’affari di queste aziende. E proprio il gruppo con sede a Novara si è mosso in anticipo commissionando a Ipsos, lo scorso ottobre, un sondaggio da cui è emerso che il 71% degli intervistati ipotizzava un esborso economico per i sacchetti e il 59% valutava il costo di 2 centesimi per sacchetto del tutto accettabile. Dati frutto dell’ampia attenzione sul fronte delle plastiche a base vegetale registrata negli ultimi anni in Italia e in Francia?

Nessun obbligo nella direttiva
L’Italia è stato il primo Paese europeo a mettere al bando i sacchetti in plastica per la spesa a partire dal 2012. Un divieto che da una parte non ha dato i frutti sperati (secondo Assobioplastiche il 60% dei sacchetti è ancora irregolare) e dall’altra è costato all’Italia anche una procedura di infrazione europea, poi chiusa e sfociata in una direttiva che chiede invece a tutti gli stati membri maggiore sensibilità sul problema dell’uso troppo massiccio di sacchetti di plastica. La direttiva europea prevede azioni per diminuire queste quantità, ma lasciando libertà di movimento. Si propone di darsi degli obiettivi di riduzione o, in alternativa, di far ricorso alla leva economica: le buste a pagamento da parte dei consumatori, insomma, sono una delle possibilità, non un requisito inviolabile. Non solo: Bruxelles precisa anche che “gli stati membri possono scegliere di esonerare le borse di plastica con uno spessore inferiore a 15 micron («borse di plastica in materiale ultraleggero») fornite come imballaggio primario per prodotti alimentari sfusi”. La decisione di sottoporli a restrizioni, dunque, è tutta dei governi nazionali.

Lo stop ai sacchettini tradizionali solo in Italia e Francia
La Francia è l’unico altro Paese europeo dove, al pari dell’Italia, le buste in plastica per la spesa sono vietate dal 2016 e i sacchettini trasparenti per l’ortofrutta sono stati banditi dal 2017. Nel resto dell’Europa la soluzione più diffusa è un costo fisso delle buste: i negozianti non possono più dare ai clienti sacchetti in plastica gratuiti nei Paesi Bassi, in Gran Bretagna, Croazia, Svezia, mentre in base ai dati della Commissione europea sul recepimento della normativa – i cui termini sono scaduti a novembre 2016 – Germania, Danimarca, Austria, Grecia e Finlandia mancano ancora all’appello.

E se in Italia, secondo Legambiente, nonostante la carenza dei controlli e un divieto applicato solo a metà l’uso di buste della spesa si è dimezzato in favore di borse riutilizzabili, al momento sull’uso di queste ultime per l’ortofrutta rimane una certa confusione: escluso dal ministero dell’Ambiente per motivi igienico-sanitari e ammesso da quello dello Sviluppo economico. Si attende ora il pronunciamento del ministero della Salute. Un tema su cui le maggiori associazioni ambientaliste non si sono finora nemmeno espresse. Il direttore generale di Legambiente però assicura: “Se si riesce a modificare la normativa sanitaria per consentire l’uso di sacchetti riutilizzabili anche per frutta e verdura, è una misura che va promossa e praticata come già avviene per le buste della spesa. Bisogna fare un’azione di pressing sul ministero della Salute”. Sarebbe l’unica misura in grado di disincentivare davvero la produzione di imballaggi. In una lettera indirizzata dal ministero dell’Ambiente ai responsabili delle principali insegne di supermercati, si legge che l’obbligo di pagamento è stato introdotto con l’obiettivo di “avviare una progressiva riduzione della commercializzazione delle borse in plastica ultraleggere più inquinanti”. Ma senza alternative, il costo da pagare in più, anche se limitato (il Mise ha autorizzato i supermercati anche a vendere i sacchettini sottocosto) rimane di fatto una nuova tassa.

Effetti sul mare ancora poco chiari
Ancora da approfondire rimangono gli aspetti ambientali della questione. Più evidenti quelli legati alla sostituzione del petrolio con materia prima vegetale, anche se solo parziale: i sacchettini in bioplastica, infatti, secondo la legge italiana, devono già contenere il 40% di materia prima rinnovabile dal 2018 e la quota dovrà essere portata al 50% dal 2020 e al 60% dal 2021. Più dibattuto il tema degli impatti della bioplastica sull’ambiente marino. Legambiente sollecita da tempo la messa al bando delle borse in plastica tradizionali in tutto il bacino del Mediterraneo per la salvaguardia del mare e la stessa Novamont, in una conferenza delle Nazioni Unite a dicembre 2017 ha presentato i suoi test di biodegradabilità delle bioplastiche in acqua marina: “Alti livelli di biodegradazione sono stati raggiunti in tempi relativamente brevi (meno di 1 anno), suggerendo che il Mater-Bi può essere adatto alla realizzazione di oggetti in plastica con alto rischio di dispersione in mare (ad esempio, attrezzi da pesca)”, ha annunciato l’azienda. Ma ci sono studi scientifici che sono più critici sulle buste biodegradabili e consigliano maggiori approfondimenti. “I potenziali effetti delle borse biodegradabili sulle praterie dei fondali sabbiosi, che rappresentano gli ecosistemi più comuni e produttivi nelle zone costiere, sono stati ignorati”, si legge nella ricerca pubblicata da un gruppo di studiosi dell‘università di Pisa a luglio 2017 sulla rivista “Science of the Total Environment”. Il tema, spiega ancora l’articolo degli scienziati pisani guidati da Elena Balestri, richiede maggiore attenzione, perché questi sacchetti “non sono velocemente degradabili nei sedimenti marini” e possono alterare la vita sul fondale”. (Veronica Ulivieri, www.ilfattoquotidiano.it).

“Con lo scioglimento delle Camere si conclude una legislatura da archiviare come una delle peggiori della storia della Repubblica. Ci si sorprende della transumanza di parlamentari da una parte all’altra, se venissero votati dai cittadini e non nominati dall’alto non lo potrebbero fare tanto facilmente. Dall’entrata in vigore del Porcellum si sono succedute tre legislature, una peggio dell’altra.
Questo parlamento avrebbe dovuto essere sciolto dopo la sentenza della Corte che ha dichiarato incostituzionale il Porcellum, la legge con cui è stato eletto.
Il parlamento sciolto è stato nella sua maggioranza a rimorchio del governo Renzi che aveva l’unico obiettivo di deformare la Costituzione per arrivare all’elezione di uno scombiccherato Sindaco d’Italia, il sogno di Renzi da quando ha lasciato Palazzo vecchio. Questi due anni di legislatura dedicati a mettere le mani sulla Costituzione, con metodi e contenuti inaccettabili, si sono infranti sul voto dei cittadini che al 60 % hanno detto No.
Purtroppo questo parlamento, sulla cui legittimità aleggiavano seri problemi di costituzionalità, non solo ha approvato norme per manomettere la Costituzione, ma da ultimo non è riuscito ad approvare neppure lo ius soli.
Purtroppo sul prossimo parlamento grava il peso di una pessima legge elettorale, che rischia di fare eleggere due Camere che proseguiranno la serie infausta dei parlamentari nominati. Legge approvata da questo parlamento, con ben otto voti di fiducia, senza che i parlamentari potessero cambiare una virgola del testo deciso dai vertici dei partiti. Il torto della maggioranza dei parlamentari è di non avere avuto un sussulto di dignità respingendo l’imposizione, gestita con un uso improprio del voto di fiducia posto dal governo Gentiloni che al suo insediamento aveva dichiarato che sulla legge elettorale si sarebbe rimesso al parlamento, poi ha cambiato idea, senza spiegare perché.
Questa legge elettorale è pessima e per di più probabilmente si rivolterà contro chi l’ha voluta quando voteremo il 4 marzo. Impedisce agli elettori di scegliere i loro rappresentanti in parlamento, con l’aggravante di un voto unico per maggioritario e proporzionale che toglie anche il minimo di libertà di voto. Quindi avremo un altro parlamento nominato dai capi partito e non dagli elettori.
Malgrado questo gravissimo limite occorre evitare l’astensione perché è una grande occasione per votare contro i responsabili dell’approvazione di questa legge. Come Coordinamento per la democrazia costituzionale, erede del Comitato per il No, ricorderemo agli elettori e alle elettrici i partiti e i parlamentari che hanno approvato questa legge elettorale invitando a non votarli. Hanno forzato la mano con 8 voti di fiducia. In risposta alla loro forzatura a noi resta solo la possibilità di non votarli e questo inviteremo a fare, con nome e cognome.
Chi ha voluto questa forzatura si è reso responsabile di una grave ferita democratica. La questione di fondo oggi è la frattura, l’abisso di sfiducia tra rappresentanti e rappresentati, che può diventare una vera e propria delegittimazione dell’istituto parlamentare, centrale nella nostra Costituzione, con tutte le conseguenze del caso. Apprendisti stregoni rischiano di far fare un salto all’indietro alla democrazia del nostro paese nata dalla Resistenza e delineata nella Costituzione, aprendo la strada a nuove tentazioni revisioniste come, ad esempio, una delle diverse forme di presidenzialismo.
Non si può soggiacere alla forzatura di governo e della maggioranza parlamentare che ha accettato o subito la fiducia, dando per scontato che ci dobbiamo tenere questa legge elettorale.
Costituzione e leggi offrono delle possibilità democratiche che i cittadini debbono sapere utilizzare per modificare questa legge elettorale: ricorrendo alla Corte come già sta facendo il nostro gruppo di avvocati, promuovendo a breve una legge di iniziativa popolare per ridare ai cittadini la possibilità di scegliere direttamente i loro rappresentanti, usando anche il nuovo regolamento del Senato che obbliga a esaminare entro tre mesi le leggi di iniziativa popolare, infine, se necessario, ricorrendo al referendum per abrogare le parti inaccettabili di questa legge.
Ci sono validi motivi di sfiducia verso la capacità del futuro parlamento di riformare, da solo, la legge elettorale. Troppo forte è ormai l’abitudine dei capi partito di scegliere dall’alto i parlamentari che così non rappresentano più i cittadini ma debbono solo essere fedeli a loro. Perché dai capi partito dipende la loro elezione, con i risultati che conosciamo di decadenza dei costumi e di abbassamento della qualità”.
(Alfiero Grandi, Coordinamento democrazia costituzionale).

“Le prossime elezioni politiche sono state organizzate con meccanismi elettorali tali da impedire che i partiti esclusivamente sardi possano eleggere propri rappresentanti. Questo dato tecnico ha un forte contenuto politico. I partiti sardi, vuoi indipendentisti, vuoi autonomisti, vuoi federalisti o regionalisti, possono comunque partecipare alle elezioni, ma con una sola certezza: aumentare le possibilità di sconfitta degli altri partiti che, per quanto italiani nel nome, sono pur sempre fatti di Sardi in Sardegna. Voglio dire che se anche in teoria i partiti sardi potrebbero vincere in qualche collegio uninominale, certamente non potrebbero eleggere nella quota proporzionale, neanche prendendo il 70% dei voti, proprio per come è stata fatta la legge elettorale. Dunque accadrà che qualche partito italiano ma fatto da Sardi, risultato vincitore, riterrà di esserlo a prescindere e contro i partiti sardi e qualche altro partito italiano, sempre fatto di Sardi, uscito sconfitto, addebiterà alla mancata alleanza dei partiti sardi la propria sconfitta. Il risultato politico più probabile dunque per la Sardegna sarà l’approfondirsi delle divisioni tra i Sardi, mentre il dato più inatteso per l’Italia è proprio l’unità della Sardegna. In queste ore concitate bisogna approfondire bene quanto i meccanismi elettorali pensati a tavolino contro l’unità della Sardegna acuiscano le fratture interne, cioè la nostra malattia più profonda. Spesso si è fatto l’errore in Sardegna di non ritenere l’unità dei Sardi un obiettivo politico e invece la si è derubricata a generico obiettivo morale. Invece è proprio ciò che dovremmo fare, come insegna la storia passata e recente. Dobbiamo stare attenti a non produrre né ereditare fratture, perché nessun governo della Sardegna ha vere potenzialità nazionali se non ha un’ampia base elettorale, sociale e politica. Paolo Maninchedda, segretario nazionale Partito dei Sardi).

“Il 2018 inizia con una certezza: per la Sardegna sarà un anno di campagna elettorale. Prima per le politiche di marzo, poi per le regionali che arriveranno (salvo sconvolgimenti da non escludere) nel febbraio 2019. Gli ultimi sondaggi riguardanti l’appuntamento del 4 marzo non sorprendono: in Sardegna il Movimento Cinquestelle tocca il 34,5 per cento, quasi sei punti percentuali in più rispetto al dato nazionale e soprattutto con una percentuale più alta che in qualsiasi altra regione. Il centrodestra segue al 29 per cento, significativamente sotto di cinque punti e mezzo rispetto al dato italiano, segno che i berlusconiani nell’isola sono forti ma evidentemente hanno stancato anche loro. Il centrosinistra si attesta al 27 per cento (solo due punti e mezzo in meno rispetto alla media nazionale, non male) e poi c’è la sinistra di Grasso e Boldrini al 7 per cento. L’impressione è che nei sessantadue giorni che mancano al voto questi equilibri non si modificheranno, con i Cinquestelle avviati in Sardegna verso un trionfo e il Pd condannato alla sconfitta. Le elezioni politiche saranno evidentemente la prova generale delle regionali, ma fino ad un certo punto: perché nel 2019 il centrosinistra sarà unito e perché avranno un ruolo maggiore i partiti indipendentisti che ora invece sono costretti a stare alla finestra. Sotto questo aspetto, la novità degli ultimi giorni è rappresentata proprio dalla decisione del Polo dell’Autodeterminatzione di concorrere alle elezioni del 4 marzo. Sulla carta l’idea non è male, perché consentirebbe al progetto guidato dal giornalista Anthony Muroni, approfittando delle contraddizioni in seno agli altri tre schieramenti, di iniziare a radicarsi e a confrontarsi con il popolo sovrano. Ogni medaglia ha però il suo rovescio, e considerato che il Polo dell’Autodeterminatzione sarà la vera novità di questa tornata elettorale, sarà anche quello maggiormente penalizzato dalla sua brevissima durata (due mesi appena), visto che ad oggi di questo Polo non si conoscono né candidati, né programmi, né simbolo. (“Il tavolo politico ha delegato due diverse componenti a procedere con l’adozione del codice etico e all’elaborazione di un percorso che porti all’apertura di un Centro studi e di un laboratorio programmatico che, in tempi brevi, definisca il Manifesto dei valori e gli ambiti di intervento e proposte”, ha comunicato il Polo due giorni fa, segno che tutto è assolutamente in alto mare). La strategia del Polo dell’Autodeterminatzione è dunque quella della “guerra lampo”, da combattere sostanzialmente con l’unica arma dello slogan “no ai partiti italiani”: ma con quale ragionevole ambizione di successo? Uno schieramento composto da Rossomori, Sardegna Possibile, Sardos, Liberu, Irs, Sardegna Natzione, Comunidades e Gentes quanti voti può concretamente sperare di raccogliere il prossimo 4 marzo? La domanda non suoni provocatoria; ma se l’obiettivo vero del Polo della Autodeterminatzione è la vittoria alle regionali del 2019, alle politiche di marzo lo schieramento non dovrebbe scendere sotto il 15 per cento (ovvero grosso modo prendere centomila voti, pure considerando una affluenza al 50 per cento), percentuale sotto la quale il messaggio inviato agli elettori sarebbe quello di una evidente debolezza. Perché se a meno di un anno dalle regionali sei sotto il 15, è chiaro che quelle elezioni non le vinci, pur tenendo conto che la legge elettorale regionale è diversa da quella per il parlamento e con quattro schieramenti in campo potrebbe bastare anche una percentuale tra il 25 ed il 30 per cento per vincere. Ripeto, la logica è chiara (le politiche come trampolino verso le regionali) ma bisogna anche temere l’effetto boomerang: perché se il Polo dell’Autodeterminatzione si dovesse collocare sotto il dieci per cento senza piazzare alcun parlamentare, otterrebbe una vittoria sì, ma di Pirro (esattamente come quella ottenuta da Sardegna Possibile alle ultime regionali) e comunque vedrebbe le sue ambizioni per il 2019 drasticamente ridimensionate. Non solo: il Polo dell’Autodeterminazione oggi conta otto sigle, tre in meno rispetto a quelle che, con Muroni portavoce, firmarono appena lo scorso 11 ottobre un documento a favore dell’indipendenza della Catalogna. Il Polo ha dunque già perso per strada Progres, Sardigna Libera e Fiu. Come mai? Conclusione: perché questa fretta? Perché invece non lavorare con pazienza sia a recuperare altri pezzi del fronte dell’autodeterminazione in vista delle regionali del 2019, sia ad allargarlo ad altre forze sociali (come i tanti comitati attivi nel territorio), sia a mettere in piedi una organizzazione solida e con un programma maggiormente articolato, anziché correre a perdifiato in vista del 4 marzo? Per cui, siamo veramente sicuri che presentarsi alle politiche in questa situazione presenti più opportunità che rischi?”. (Vito Biolchini, www.sardegnasoprattutto.com).

È stato pubblicato il secondo bando del progetto “Terra ai giovani”, che punta a favorire il ricambio generazionale in agricoltura anche attraverso il riutilizzo di terre di proprietà regionale, incolte e libere. Attraverso il primo bando erano stati assegnati dieci lotti per un totale di 670 ettari fra Alghero, Sassari, Serramanna, Villasor, Vallermosa, Ussana e Donori. Per presentare le domande c’è tempo sino alle 12 del 2 marzo. I lotti individuati di di “Terra ai giovani” sono sedici e rientrano nel territorio di tredici comuni: Alghero, Arborea, Arbus, Gonnosfanadiga, Luras, Maracalagonis, Marrubiu, Palmas Arborea, San Basilio, San Vito, Serramanna, Siliqua e Villasor. I terreni, compresi due ex siti militari a Siliqua e Villasor, saranno concessi in affitto agevolato, per quindici anni, agli under 40 per attività agro-silvo-pastorali o a esse complementari. Possono presentare domanda i coltivatori diretti, gli Imprenditori agricoli professionali, le società agricole in forma singola o associata, le cooperative sociali che esercitino attività in campo agricolo o chi intenda costituire una nuova impresa agricola entro 60 giorni dall’aggiudicazione del lotto. I partecipanti dovranno presentare un Piano di valorizzazione aziendale che illustri le attività e gli interventi da realizzare durante il periodo di concessione per riqualificare e ottimizzare l’utilizzo del lotto agricolo assegnato.

7 comments

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    • drastico on 4 gennaio 2018 at 9:08
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    far pagare i sacchetti di plastica per frutta e verdura sarà un boomerang per renzi e ridurrà il già scarso consenso del pd alle elezioni.
    voglio dire la mia anche sul colpo a porta nuova. ho letto vari articoli sul furto di gioielli al centro commerciale e noto che ancora una volta i cronisti locali si sono superati nel toccare il fondo. ho constatato che c’è una gara per aggiungere particolari a casaccio in modo tale da apparire più informati degli altri. tra i romanzi sul furto, il racconto della nuova sardegna mi sembra il più verosimile e almeno è senza retorica ed è scritto senza cadere nel ridicolo, mentre gli altri fanno a gara a chi spara più scemenze. come hanno già scritto, strano che i “giornalisti/007” locali non abbiano descritto con che marca di champagne hanno brindato i ladri, che cosa hanno mangiato per rifocillarsi nelle otto ore, l’inflessione dialettale dei rutti e altri vari e inverosimili cretinate. non sono un esperto ma da lettore dico che quando si fa della cronaca bisognerebbe attenersi ai fatti e non volare con la fantasia. scrivendo in questo modo risultano patetici e penosi. considerato lo scarso livello della stampa locale, la polizia farebbe bene a non dire nulla, almeno così evita che i fatti vengano travisati e risparmia ai lettori interpretazioni fantasiose.

    • Tino on 4 gennaio 2018 at 18:34
    • Rispondi

    Maninchedda non sa più dove fare l’uovo. Dopo aver sposato la linea di Pigliaru e del Centrosinistra e aver governato con i partiti di quello Stato Italiano di cui dice peste e corna, è uscito dalla Giunta regionale ma ha mantenuto un piede in due staffe lasciando il Pds in maggioranza. A un anno dal termine della legislatura delle Regionali e a meno di due mesi dalle Politiche, Manichedda si è svegliato e si è reso conto che il Pd e il Centrosinistra sono in caduta libera e perderanno le elezioni. Per questo lo sta mollando, ma per andare dove? Non con gli altri partiti del Polo identitario perchè non lo vogliono. Allora con chi? Col Psd’Az, con l’Udc, con il Centro, o con Liberi è Uguali, cioè con partitini che con l’indipendentismo non c’entrano niente? Ma in cambio di che cosa, preso atto che alle Politiche il Pds non conta nulla. Come gli altri partitini indipendentisti anche il Pds alle Politiche farà flop e alle prossime Regionali sparirà come il Pd.

    • Giuseppe on 4 gennaio 2018 at 21:11
    • Rispondi

    Caro Pig, oltre a essere stato un ottimo giornalista con Telenova, è sempre gradevole seguirti anche sul blog. Spesso in questa città apatica sei stato l’unico giornalista che ha cercato di svegliare le coscienze, occupandoti di problemi vicini alla gente e non l’hai mai mandata a dire ai politici oristanesi, di qualsiasi colore fossero, che molto benevolmente hai spesso definito mediocri. Non ti sei mai nascosto dietro a un dito – l’hai detto anche tu tante volte – e hai sempre denunciato giochi, interessi e malefatte di Oristano mettendoci la faccia. Detto questo, mi sono chiesto come mai non ti sei autocandidato per il M5S, che con tutti i difetti possibili e immaginabili è comunque il solo partito che – come te anche se in un ruolo diverso – fa sul serio gli interessi della gente?

    • Pig on 4 gennaio 2018 at 21:20
    • Rispondi

    Non prendete in considerazione la sviolinata di Giuseppe. Non può che essere un mio parente sotto falso nome in vena di battute.
    Scherzi a parte, non ho mai pensato a una cosa del genere. La politica attiva, per me che sono avanti negli anni, è troppo faticosa. E poi, che cambio generazionale sarebbe?
    Se per ipotesi per le “parlamentarie” il Movimento 5 Stelle dovesse istituire una sezione geriatrica, allora posso anche ripensarci.
    Cordialità, Angelo.

    • Antonello on 4 gennaio 2018 at 23:53
    • Rispondi

    Il presidente della regione sardegna scrive sul suo profilo Facebook: “Polemiche difficili da comprendere ………..”. Triste constatare che il presidente sposti l’attenzione sull’ambiente e non sulla tassa governativa di 2 € che è la vera polemica.

    • Luciano on 5 gennaio 2018 at 9:59
    • Rispondi

    Ma cosa volete cercare a un incapace come Pigliaru, che non sa neanche lui perchè lo hanno votato. Per me quella di Pigliaru è stata una delle peggiori giunte regionali di sempre e questo Presidente tutte le volte che apre bocca fa danni. Perchè non se ne va a casa, così fa un grosso favore alla Sardegna. Sui sacchetti Renzi, Gentiloni e il PD hano voluto fare i furbetti col risultato che la gente si è girata di scatole e gli farà perdere un sacco di voti. Bravi, trovatona da applausi!!!

    • Mauro on 5 gennaio 2018 at 11:17
    • Rispondi

    Al bar ho letto sui “giornaletti” di Oristano la polemica tra i gruppi del M5s sui quattro spiccioli del movimento. Da simpatizzate vorrei far rilevare ai responsabili del M5s che le beghe interne non giovano alla causa, creano sconcerto tra i cittadini e fanno la gioia degli altri partiti che, finalmente, possono aprire bocca e dire che il M5s è uguale agli altri! Non è così, ma in un periodo di elezioni è da cretini dare spago ai due “giornaletti” di Oristano che non sanno scrivere di politica e vivono di gossip.

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